Secondo le diverse versioni del racconto, alcuni personaggi decisero di mettere in difficoltà Gesù chiedendogli se gli Ebrei dovessero o meno rifiutarsi di pagare le tasse agli occupanti Romani. Nel Vangelo secondo Luca si specifica che, evidentemente attendendosi che Gesù si sarebbe opposto al tributo, essi intendevano «consegnarlo all'autorità e al potere del governatore», che all'epoca era Ponzio Pilato e che era responsabile della raccolta dei tributi. I vangeli sinottici raccontano che gli interlocutori si rivolsero a Gesù lodandone l'integrità, l'imparzialità e l'amore per la verità, poi gli chiesero se fosse o meno giusto per gli Ebrei pagare le tasse richieste da Cesare. Gesù, dopo averli chiamati ipocriti, chiese loro di produrre una moneta buona per il pagamento e poi di chi fossero nome e raffigurazione su di essa; alla risposta che si trattava di Cesare, rispose «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è...
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.
Il versetto del Vangelo su citato ricorda a tutti noi quale sia l’eredità che Gesù lasciò al primo Papa della storia: San Pietro; la stessa che è stata trasmessa ad ogni suo successore, dall’alto.
Tuttavia, come ogni altra “mansione” che proviene dal Signore, è suscettibile di discernimento, perché un essere umano la comprenda e la renda “a volere di Dio”.
Nessun uomo, nemmeno il Papa (in quanto uomo), può ritenersi infallibile, per non cadere nella presunzione di sostituirsi al suo e nostro Maestro, poiché lui (come noi, se lo vogliano) sia mezzo, e mai il fine ultimo, del suo stesso agire.
Il Papa è da ritenersi infallibile solo quando è “ex cattedra”, quando esercita il suo carisma di Pastore Universale della Chiesa e tramite “un atto definitivo proclama una dottrina riguardante la fede o la morale”.

In quel caso, il Papa è da considerarsi infallibile, perché è mezzo dello Spirito Paraclito, promesso da Gesù a Pietro e ai suoi successori.
Questa caratteristica del Pontefice è definita dogma dell’infallibilità papale (o infallibilità pontificia) e, quando si ritiene esercitata, si dice che il Papa opera “ex cathedra”, appunto, ossia come Dottore e Pastore Universale della Chiesa (Episcopus Servus Servorum Dei), rivestendo il Ministero Petrino, proclamando un nuovo dogma o rivelandolo.
Il dogma dell’infallibilità papale è stabilito nel documento Pastor Aeternus. Qui si dice: “Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.

Ed ecco che il dogma dell’infallibilità papale si rifà al mandato di Gesù Cristo, secondo il versetto su citato e non solo: Gesù da a Pietro il compito di “legare e sciogliere”, di “pascere i suoi agnelli”.
Il passo di Luca che dice: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” è ritenuta la preghiera con Gesù rafforzò la fede di Pietro e ne sancì l’infallibilità.
Sino al Concilio Vaticano I, in dogma dell’infallibilità papale non era dichiarato ufficialmente, ma molti Santi ne parlavano e lo riconoscevano:
San Cipriano, Vescovo nel III secolo, scrisse della cathedra Petri. “Essi non pensano che devono trattare con i Romani, la cui fede fu lodata dalla gloriosa testimonianza dell’Apostolo, e presso i quali l’errore non può trovare alcun accesso”.

Fino alla proclamazione del dogma dell’infallibilità papale, erano stati i vari Concili ha definire la materia di fede.
Fu Papa Pio IX a convocare nel 1870 il Concilio Vaticano I. Qui si parlò del dogma e si definì la fine del potere temporale del Pontefice.
Molti laici, cattolici liberali, Cardinali, soprattutto francesi e tedeschi, si dichiararono contrari. Una parte dei Vescovi dell’Europa centrale prese le distanze dalla Chiesa di Roma. Iniziò così lo scisma vetero-cattolico, che verte proprio sul rifiuto del dogma dell’infallibilità papale.
Dal Concilio Vaticano I ad oggi, una volta soltanto il Papa ne ha fatto uso. Contrariamente a quanto temevano gli oppositori, riguardo l’abuso che il Pontefice avrebbe potuto fare del diritto di infallibilità,

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