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"Date a Cesare quel che è di Cesare"

  Secondo le diverse versioni del racconto, alcuni personaggi decisero di mettere in difficoltà Gesù chiedendogli se gli Ebrei dovessero o meno rifiutarsi di pagare le tasse agli occupanti Romani. Nel   Vangelo secondo Luca   si specifica che, evidentemente attendendosi che Gesù si sarebbe opposto al tributo, essi intendevano «consegnarlo all'autorità e al potere del governatore», che all'epoca era   Ponzio Pilato   e che era responsabile della raccolta dei tributi. I   vangeli sinottici   raccontano che gli interlocutori si rivolsero a Gesù lodandone l'integrità, l'imparzialità e l'amore per la verità, poi gli chiesero se fosse o meno giusto per gli Ebrei pagare le tasse richieste da Cesare. Gesù, dopo averli chiamati ipocriti, chiese loro di produrre una moneta buona per il pagamento   e poi di chi fossero nome e raffigurazione su di essa; alla risposta che si trattava di Cesare, rispose «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (il   Vang

Soldati della Fede


 San Michele Arcangelo
Capo delle Milizie Celeste



Un tempo, al termine di ogni messa, il sacerdote pregava così: «San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; sii il nostro aiuto contro la malvagità e l'insidia del diavolo. Comandi sopra di lui il Signore, e tu, principe delle milizie celesti, sprofonda nell'inferno, con la tua divina potenza, Satana e tutti gli altri spiriti maligni che si aggirano per il mondo per la perdizione delle anime». Quella preghiera, collocata in un momento strategico della liturgia, quando cioè il fedele sta per passare dalla solennità del rito alla sua concreta traduzione nel trambusto della vita quotidiana, testimoniava l'antichissima tradizione del culto dell'arcangelo san Michele, viva tra i cristiani, ma ancor prima nel popolo ebraico, che lo aveva eletto a proprio protettore. Una devozione diffusa e antica, che ha almeno tre centri di riferimento importanti e suggestivi, come la chiesa di San Michele del Gargano, in Puglia, il famosissimo santuario del Mont Saint Michel, in Francia, e la Sacra di San Michele, in Piemonte, all'imboccatura della Vai di Susa.
Michele è il protettore dei protettori, l'arcangelo guerriero, principe delle milizie celesti, avversario di Satana e degli angeli che si erano ribellati a Dio, e che lui aveva vinto al grido di guerra: «Chi è come Dio?», che è anche il significato del suo nome in lingua ebraica. Ed è così, nell'atto di trafiggere il demonio sconfitto, che viene spesso raffigurato nelle immagini più belle.
La Genesi (il primo libro della Bibbia) non fa il nome dell'angelo posto da Dio a custodire il paradiso terrestre, dopo la cacciata di Adamo ed Eva, rei di aver mangiato la fatidica mela proibita. Qualcuno ha voluto vedere, nell'arcigno custode che brandisce una spada fiammeggiante, l'arcangelo Michele, impegnato in un ennesimo episodio di quell'interminabile lotta contro le forze del male, che avrà il suo epilogo, come ha previsto l'evangelista Giovanni, nei giorni dell'apocalisse, quando Michele e i suoi angeli faranno precipitare definitivamente negli abissi il gran drago rosso con sette teste e dieci corna, cioè il diavolo o Satana, segnando così la sconfitta senza appello del male.

Nella nostra vita san Michele è l'angelo che ci è vicino nelle piccole e grandi battaglie quotidiane contro le suggestioni del male, contro quelle forze che vogliono farci scivolare nel vortice della perversione e del peccato e che, alla fine della vita, ci guiderà (anche questo è un compito che la tradizione gli attribuisce) nel momento del trapasso per essere poi al nostro fianco, avvocato, nel giorno del giudizio definitivo. Grazie alla sua tenacia nel combattere il maligno, Michele è considerato il protettore del male.



               Quinto Cassio Longino, in latino Longinus





Secondo una tradizione cristiana, Quinto Cassio Longino, in latino Longinus (Anxanum, I secolo – Anxanum, I secolo), è il soldato romano che trafisse con la propria lancia il costato di Gesù crocifisso, per accertare che fosse morto. “… Ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”, si legge nel Vangelo secondo Giovanni (19,34).
Chi era Longino? Va detto innanzi tutto che il nome “Longinus” deriva da una versione degli Atti di Pilato (apocrifi). Longino probabilmente è un nome fittizio che deriva dal greco λόγχη (“lònche”, lancia). Nessuno dei Vangeli canonici nomina esplicitamente la figura di Longino, ma Luca, Matteo e Giovanni alludono a un soldato che, prima che il corpo di Cristo fosse concesso a Giuseppe di Arimatea e Nicodemo per la sepoltura, per assicurarsi che il Messia fosse morto gli colpì il fianco con la lancia, da cui “uscì sangue e acqua”. La tradizione orientale e greca, tramandata poi anche in occidente, lo descrive come un soldato cieco da un occhio o comunque afflitto da un grave disturbo alla vista, che sarebbe guarito al contatto col sangue di Gesù.
In particolare, secondo gli Acta Pilati Longino era il centurione al comando del picchetto di soldati che, dopo aver assistito alla morte di Cristo, furono posti a guardia del sepolcro. In occidente la sua figura si fuse poi con quella del centurione che, riconoscendo la natura divina di Gesù, esclamò “vere iste Filius Dei erat” (“veramente costui era Figlio di Dio”). E ancora: nella lettera apocrifa di Pilato a Erode, Gesù risorto si rivolge alla guardia del sepolcro Longino domandandogli: “Non sei stato tu che hai fatto la guardia durante la mia passione e al mio sepolcro?”.
Fu proprio Longino, sempre secondo la tradizione, a contribuire a diffondere a Gerusalemme il resoconto della Resurrezione di Cristo, favorendo la conversione di molte persone, e per questo motivo cadde in disgrazia agli occhi dei maggiorenti del tempo, che ne ordinarono l’uccisione. Ma il centurione, avendo scoperto questo “complotto”, lasciò l’esercito romano assieme a due commilitoni e si rifugiò in una contrada poco distante da Lanciano. Dopo di che, in base a una certa versione (ne esistono diverse), sarebbe stato raggiunto dai suoi persecutori e martirizzato nei pressi di Mantova. La santificazione del soldato avvenne il giorno 2 dicembre 1340 sotto il papato di Innocenzo VI.
Santo Stefano Protomartire




Stefano fu il primo a dare la vita e il sangue per Gesù Cristo. Ebreo di nascita, e convertito alla fede dalla predicazione di S. Pietro, mostrò subito un meraviglioso zelo per la gloria di Dio e una grande sapienza nel confutare i Giudei, che increduli disprezzavano il Nazareno.
Fu eletto dagli Apostoli primo dei sette diaconi per provvedere ai bisogni dei primi fedeli, specialmente delle vedove e degli orfani di cui la Chiesa ebbe sempre cura particolare.
E S. Stefano pieno di grazia e di fortezza, animato dallo Spirito Santo predicava con forza e confermava la predicazione coi miracoli.
Per questo si attirò l'odio dei Giudei che non potevano soffrire tanto zelo, né resistere alla sua sapienza, operatrice di numerose conversioni.
Essi vollero dapprima disputare con Stefano, ma vedendosi vinti dallo Spirito che parlava per bocca di lui, cercarono falsi testimoni per accusarlo di bestemmia contro Mosé e contro Dio. Il Signore però volle manifestare la innocenza del suo servo facendo apparire il suo volto bello come quello di un Angelo.
Dopo la lettura delle accuse, il sommo sacerdote Caifa gli disse di parlare per difendersi, ed egli fece la sua apologia, rappresentando loro la bontà e la misericordia del Signore verso il popolo ebreo, cominciando da Abramo fino a Davide.
Se da una parte mostrò i benefici che il Signore aveva concesso alla nazione dei Giudei, dall'altra ricordò pure le ingiurie fatte a Dio dai loro padri. Ma non facendo quelle parole alcuna impressione in quei cuori induriti, pieni di malizia, mutando d'un tratto tono disse: « O uomini di dura cervice e incirconcisi di cuore. voi sempre resistete allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi». Essi all'udire queste cose fremettero nei loro cuori e digrignarono i denti contro di lui. Ma egli pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi nel cielo, esclamò: « Ecco io vedo i cieli aperti e il Figlio dell'Uomo stare alla destra di Dio ».


Quelli, alzando grandi grida, si turaron le orecchie e tutti insieme gli si avventarono addosso e trascinatolo fuori della città si diedero a lapidarlo, deponendo le loro vesti ai piedi d'un giovane chiamato Saulo.
E lapidarono Stefano che pregava dicendo : « Signore Gestì, ricevi il mio spirito », e ad alta voce: « Signore, non imputare loro questo peccato ». Ciò detto s'addormentò nel Signore.



San Maurizio



Durante l'impero di Diocleziano e Massimiano, fra le legioni romane ve n'era una chiamata « Legione Tebea ». Era composta di 6600 uomini, tutti cristiani, pieni di tanta fede e tanta pietà che pareva una' comunità religiosa. L'esercito romano non aveva legione migliore di questa, perchè quelli che sono veramente cristiani, sono sempre i più diligenti nel compiere il loro dovere.

Capo di questa legione era Maurizio. Cresciuto fra le armi, egli univa al coraggio un amore a Gesù Cristo davvero ammirabile, e praticava fedelmente le massime evangeliche. Un giorno Maurizio ricevette ordine dall'imperatore di recarsi in Italia, per unirsi al resto dell'esercito romano e andare nelle Gallie contro i Bagaudi, contadini, pastori e nomadi della Gallia, ancora legati alle loro tradizioni celtiche. Maurizio, come sempre in tutte le cose che non si opponevano alla legge di Dio, prontamente ubbidì: venne in Italia, e s'incamminò verso la Gallia con la sua legione.

Giunti nella Valesia presso Agauno, l'imperatore ordinò una sosta, durante la quale dispose che tutti i soldati assistessero ai sacrifici e giurassero di far strage di tutti i Cristiani.

S. Maurizio ed i suoi legionari si rifiutarono, disposti a morire anzichè offendere Dio. Massimiano allora ordinò che la legione fosse decimata; e udendo che gli altri erano rimasti fermi nel loro proposito, ne ordinò una seconda. Ma quegli eroi intrepidi, invidiando la morte dei loro compagni su cui era caduta la sorte, mandarono all'imperatore questa protesta: « Signore, noi siamo vostri soldati, ma nello stesso tempo servi di Dio e gloriandoci di questo, ne facciamo una spontanea confessione. A voi dobbiamo il servizio militare, a Dio l'innocenza; da voi riceviamo lo stipendio, da Dio abbiamo ricevuto la vita. Non possiamo dunque ubbidirvi offendendo Dio, Creatore e Padrone nostro e vostro, ancorchè ricusiate di riconoscerlo per tale. Vi offriamo le nostre persone contro qualsivoglia nemico, ma non contro innocenti. Voi ci comandate di perseguitare i Cristiani; eccoci qui: noi siamo cristiani e confessiamo Iddio Padre, autore di tutte le cose, e Gesù Cristo, suo Figliuolo. Abbiamo le armi in mano, ma non faremo resistenza, perchè amiamo più morire innocenti, che vivere colpevoli ».

Questa protesta inferocì Massimiano, che comandò ad un'altra legione di circondare la Tebea, e di uccidere tutti quelli che persistevano a confessare il nome di Gesù. Quei prodi, volendo, avrebbero certamente potuto difendersi con le armi, e il cielo stesso sarebbe forse venuto in loro aiuto, ma essi preferirono dare la vita per Gesù Cristo, ed in breve tempo furono tutti trucidati!

Ad Agaunum, in Raetia, l'attuale Saint Maurice-en-Valais, sorse il più antico luogo di culto dedicato a San Maurizio: "Territorialis Abbatia S. Mauritii Agaunensis", l' abbazia svizzera del cantone vallese.
Qui è da cercare il punto focale del futuro culto vivissimo dedicato a San Maurizio nelle Alpi e altrove, che fece di San Maurizio dapprima il patrono del Sacro Romano Impero, poi, entrato il Vallese occidentale nei possedimenti dei Savoia, il culto dei martiri fu legato strettamente alla loro dinastia Fu istituto l'Ordine Cavalleresco di San Maurizio, unito in seguito con quello di San Lazzaro. Le reliquie di San Maurizio furono traslate a Torino e ora custodite nella cappella della Sindone.
San Giorgio Martire


S. Giorgio visse nel III secolo, sotto l'impero di Diocleziano. Di questo Santo, tanto venerato ovunque, e specialmente in Inghilterra, si hanno poche notizie, tuttavia sappiamo che egli fu onorato in tutta l'antichità quale soldato valoroso e martire illustre, e invocato patrono della milizia cristiana.
Nacque in Cappadocia da genitori cristiani e come il Maestro Divino, crebbe in sapienza, in età ed in grazia presso Dio e gli uomini.
Arruolato nella milizia imperiale, grazie alla sua perizia nelle armi e al suo valore salì al grado di capitano.

Però servì assai più generosamente a Dio; e combattè sotto una ben più nobile bandiera, quella divina. Fu il campione intrepido di Gesù Cristo, il nemico giurato di Satana: non per nulla è rappresentato in atto di sconfiggere colla lancia il dragone, mentre legata ad un palo sta in atto supplichevole una fanciulla. Onde osserva il cardinale Baronio, che quest'antica usanza di rappresentare S. Giorgio non è che un simbolo della sua potente protezione contro le tentazioni del demonio.

Nella terribile persecuzione di Diocleziano, il nostro santo guerriero animava i Cristiani perseguitati a ricevere con fortezza il martirio, a non cedere alle lusinghe dei tiranni, a professare sinceramente Gesù Cristo.

L'imperatore gli impose di cessare questo suo ministero e di piegarsi davanti agli dèi di Roma imperiale; ma S. Giorgio francamente gli rispose: « Rispetto le tue leggi, ma non piego le ginocchia a terrene e false divinità ». Infuriato a tale risposta, il tiranno lo degradò, lo condannò a molti terribili supplizi, ma Giorgio miracolosamente rimase illeso, finché gli fu troncato il capo e cadde martire di Cristo il 23 aprile del 303.

Nella notte precedente al martirio, gli era apparso in sogno Gesù, il quale, ponendogli sul capo una corona, gli aveva detto: « Ah! Giorgio, tu sei degno di regnare meco in eterno ».

S. Giorgio ci è esempio di perfetta carità; egli ci insegna le opere di misericordia: consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti e i travagliati, fortificare i deboli nella fede e aiutare il prossimo in tutte le sue necessità, ricordandoci che in Cristo siamo tutti fratelli.
San Martino di Tours


Nel tempo dell’Arianesimo visse un uomo di Dio che tutti ricordano per il suo gesto: alle porte di Amiens incontrò un povero pieno di freddo e con la spada divise il suo mantello per offrirgliene metà. Tuttavia la vita del Vescovo e monaco Martino di Tours è ben più di questo gesto e, oltre ad essere costellata di scelte evangeliche e di azioni taumaturgiche, venne anche perseguitato dalla Chiesa divenuta perlopiù ariana.
Nacque nel 316 0 317 a Sabaria, nella provincia romana di Pannonia (oggi Ungheria), dove il padre serviva l’Impero, dapprima come soldato, poi come tribuno militare. Trascorse l’infanzia nell’Italia del Nord, a Pavia, nuova guarnigione paterna. Benché i suoi genitori fossero pagani, a dieci anni volle diventare cristiano e a 12 desiderò di vivere nel deserto, imitando gli asceti orientali.
Ma fu costretto ad abbracciare la carriera militare, in virtù della legge che assoggettava allora in via ereditaria i cittadini dell’Impero alla loro condizione di nascita. Tuttavia, pur vivendo in quel contesto, Martino continuò a seguire i precetti evangelici. All’età di 18 anni, quando donò metà del suo mantello al povero di Amiens, la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare. Terminato il periodo obbligatorio di servizio militare, a 25 anni lasciò l’esercito e si recò a Poitiers dal Vescovo Ilario.

Una scelta fatta non a caso: Martino scelse di andare da un Vescovo antiariano, organizzatore straordinario dell’opposizione all’eresia che entrò e rimase nella Chiesa dal IV (iniziò in Egitto) al VII secolo (gli ultimi residui rimasero fra i germani cristiani). Il Vescovo di Poitiers, colpito da una condanna all’esilio per aver osato opporsi alla politica arianista dell’imperatore Costanzo II, dovette stabilirsi in Asia, mentre Martino raggiunse le regioni centrali dell’Illirico per convertire la madre al cristianesimo, ma fu esposto ai duri maltrattamenti che i vescovi della regione, acquistati all’Arianesimo, gli inflissero.

Ritornò in Italia e organizzò un eremo a Milano, dove fu presto allontanato dal Vescovo Aussenzio, anch’egli eretico. Non appena apprese il ritorno di Ilario dall’esilio, nel 360 si diresse nuovamente a Poitiers, dove il Vescovo gli diede l’approvazione per realizzare la sua vocazione e ritirarsi in un eremo a 8 chilometri dalla città, a Ligugé. Alcuni seguaci lo raggiunsero, formando così, sotto la sua direzione, la prima comunità monastica attestata in Francia. Qui trascorse 15 anni, approfondendo la Sacra Scrittura, facendo apostolato nelle campagne e seminando miracoli al suo passare. «Colui che tutti già reputavano santo fu così anche reputato uomo potente e veramente degno degli Apostoli», scrisse Sulpicio Severo (360 ca.- 420 ca.) nella biografia a lui dedicata.

Contro la sua volontà gli elettori riuniti a Tours, clero e fedeli, lo eleggono Vescovo nel 371. Martino assolve le funzioni episcopali con autorità e prestigio, senza però abbandonare le scelte monacali. Va a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. In questo ritiro, dove è ben presto raggiunto da numerosi seguaci, crea un monastero, Marmoutier, di cui è Abate e in cui impone a se stesso e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera. Qui fiorisce la sua eccezionale vita spirituale, nell’umile capanna in mezzo al bosco, che funge da cella e dove, respingendo le apparizioni diaboliche, conversa familiarmente con i santi e con gli angeli.

Se da un lato rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, dall’altra Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca per celebrare l’officio divino nella cattedrale, respinge le visite di carattere mondano. Intanto si occupa dei prigionieri, dei condannati a morte; dei malati e dei morti, che guarisce e resuscita. Al suo intervento anche i fenomeni naturali gli obbediscono. Per san Martino, amico stretto dei poveri, la povertà non è un’ideologia, ma una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Marmoutier, al termine del suo episcopato, conta 80 monaci, quasi tutti provenienti dall’aristocrazia senatoria, che si erano piegati all’umiltà e alla mortificazione.

San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali assistettero migliaia di monaci e monache. I nobili san Paolino (355-431) e Sulpicio Severo, suoi discepoli, vendettero i loro beni per i poveri: il primo si ritirò a Nola, dove divenne Vescovo, il secondo si consacrò alla preghiera.
Martino è uno fra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa e divenne il santo francese per eccellenza, modello per i cristiani amanti della perfezione. Il suo culto si estese in tutta Europa e l’11 novembre (sua festa liturgica) ricorda il giorno della sua sepoltura. L’«apostolo delle Gallie», patrono dei sovrani di Francia, fu enormemente venerato dal popolo: in lui si associavano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Quasi 500 paesi (Saint-Martin, Martigny…) e quasi 4000 parrocchie in territorio francese portano il suo nome.


I re merovingi e poi carolingi custodivano nel loro oratorio privato il mantello di san Martino, chiamato cappella. Tale reliquia accompagnava i combattenti in guerra e in tempo di pace, sulla «cappa» di san Martino, si prestavano i giuramenti più solenni. Il termine cappella, usato dapprima per designare l’oratorio reale, sarà poi applicato a tutti gli oratori del mondo.




SAN SEBASTIANO, L'UFFICIALE CHE AIUTAVA DI NASCOSTO I CRISTIANI PERSEGUITATI


Nativo di Narbona, cittadino milanese, alto e stimatissimo ufficiale della guardia pretoriana di Diocleziano e Massimiano, Sebastiano è l’ eroe della Militia Christi, come militare e come difensore della fede. Dalla Depositio Martyrum, nel Cronografo del 354, un almanacco che conteneva, fra l’ altro, liste di santi con le date del loro martirio, conosciamo il giorno della sua morte: il 20 gennaio, e il luogo della sua inumazione in catacumbas, cioè le catacombe lungo la via Appia, sulle quali, nella prima metà del IV secolo, fu eretta la grande basilica cimiteriale di san Sebastiano, che allora era però chiamata ecclesia apostolorum. L’ anno della morte è forse il 288, o più probabilmente il 303 o 304. Solo Ambrogio, fra tutti i Padri della Chiesa, menziona Sebastiano e il culto a lui dedicato, che già dalla metà del IV secolo doveva essere ben sviluppato, almeno nell’ Urbe. Le gesta e la passione del miles Christi sono narrate in un testo agiografico del V secolo, opera di un chierico sconosciuto, e talvolta, inverosimilmente, attribuita a sant’ Ambrogio.
Sebastiano è dunque a Milano, comandante della prima coorte pretoriana, di fatto la guardia del corpo imperiale, tanto stimato da Diocleziano e da Massimiano, che i due regnanti ne reclamano continuamente la presenza. Ignorano però che il loro favorito è cristiano. Egli dissimula la sua fede per meglio recare conforto ai correligionari perseguitati e rinsaldare la loro volontà di martirio a testimonianza del loro credo, quando, sotto i tormenti, questa vacilla. Narra Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea – una compilazione di vite dei santi, scritta verso la fine del XIII secolo, celeberrima nel Medioevo – che una volta Sebastiano si trovava nel carcere in cui erano tenuti prigionieri i gemelli Marco e Marcellino, condannati a morte a causa della loro professione di cristianesimo. Si presentarono i genitori disperati che, con parole ardenti, supplicavano i figli di salvare la propria vita. Questi erano sul punto di cedere, quando l’ ufficiale intervenne con autorità, ripristinando in loro la saldezza del cuore verso la gloria della vittoria sulla menzogna e la salvezza nella vita eterna. Egli apparve ai presenti, circonfuso di luce e circondato da sette luminosissimi angeli, per un’ ora intera. Allora Zoe, moglie di Nicostrato, funzionario nella cui casa i due giovani erano tenuti prigionieri, si gettò ai piedi del santo impetrando il perdono a gesti, perché era muta. Sebastiano allora gridò: “Se io sono il servo di Cristo, e se sono vere le parole che ha detto Colui che aprì la bocca di Zaccaria, si apra la bocca di questa donna”. E subito la muta gridò: “Siano benedette le tue parole e benedetti coloro che vi prestano fede. Ho visto un angelo con un libro davanti a te dove stava scritto quanto dicevi”.
Nicostrato, udita la moglie parlare, si gettò anch’ egli ai piedi del santo, e liberò subito i martiri imprigionati. Ma Marco e Marcellino, rafforzati nella volontà di martirio dalle parole di Sebastiano, rifiutarono di andarsene, mentre i genitori e molti altri si facevano battezzare dal prete Policarpo. Sebastiano fu in seguito denunciato agli imperatori. Comparso dinanzi a Diocleziano che, adirato, lo rimproverò di avere tradito la sua fiducia, l’ ufficiale dichiarò di avere anzi pregato Dio per la salvezza di Roma. L’ imperatore lo condannò a morire per mano degli arcieri in mezzo al Campo di Marte. Il suo corpo tutto trafitto di frecce fu abbandonato sul terreno e dato naturalmente per morto; ma pochi giorni dopo, l’ imperatore, stupefatto, se lo vide comparire dinanzi, aspramente rimproverante tutto il male fatto ai cristiani. Questa volta Diocleziano comandò che venisse frustato a morte, e così fu fatto, e il suo corpo gettato in una cloaca, perché non divenisse oggetto di venerazione per i cristiani. La notte dopo il santo apparve a santa Lucia, le rivelò dove fosse e le ordinò di seppellirlo accanto alle tombe degli apostoli.
Narra la Legenda aurea che nella storia dei longobardi si legge di una terribile peste che colpì in particolar modo le città di Roma e di Pavia, e fu rivelato che il morbo non sarebbe cessato se non fosse stato eretto un altare a san Sebastiano, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Pavia. Non appena l’ altare fu eretto e consacrato, il morbo finì. Sebastiano, santo militare, divenne ben presto uno dei patroni della città di Roma. Si sviluppò un importante culto attorno alla basilica costruita sulle catacombe, estesosi poi a altri luoghi della città, con la costruzione di nuove chiese, in genere nei luoghi menzionati nella Passione di san Sebastiano. Nel X secolo si trovava, forse, una chiesa intitolata al santo sul Colle Palatino, al posto dell’ antico tempio di Eliogabalo, sulla cui scalinata Sebastiano si era erto a accusatore di Diocleziano. Fuori di Roma il culto di san Sebastiano si diffuse grazie alla distribuzione delle reliquie nell’ Africa romana, in Spagna, in Gallia e in Germania. Il santo martire veniva invocato soprattutto contro la peste, sebbene nulla, nella Passione, giustifichi questa attitudine. Probabilmente fu la leggenda del miracolo di Pavia il punto d’ inizio di questa devozione. Le frecce che trafiggono il santo ne hanno fatto il patrono degli arcieri, balestrieri, archibugieri, ma anche, non si sa bene perché, dei tagliatori di pietre, dei tappezzieri, dei fabbri, dei pompieri e dei giardinieri.













Santa Giovanna d'Arco Vergine



Figlia di contadini, analfabeta, lasciò giovanissima la casa paterna per seguire il volere di Dio, rivelatole da voci misteriose, secondo il quale avrebbe dovuto liberare la Francia dagli Inglesi. Presentatasi alla corte di Carlo VII, ottenne dal re di poter cavalcare alla testa di un'armata e, incoraggiando le truppe con la sua ispirata presenza, riuscì a liberare Orleans e a riportare la vittoria di Patay. Lasciata sola per la diffidenza della corte e del re, Giovanna non potè condurre a termine, secondo il suo progetto, la lotta contro gli Anglo-Borgognoni; fu dapprima ferita alle porte di Parigi e nel 1430, mentre marciava verso Compiegne, fatta prigioniera dai Borgognoni, che la cedettero agli Inglesi. Tradotta a Rouen davanti a un tribunale di ecclesiastici, dopo estenuanti interrogatori fu condannata per eresia ed arsa viva. Fu riabilitata nel 1456. Nel 1920 Benedetto XV la proclamava santa.
Santa Giovanna d’Arco è una figura molto nota, ma superficialmente. L’esempio di questa Santa ci parla dell’amore alla Patria e di pace secondo il più genuino pensiero del Cristianesimo.

Dalla vita di questa grande Santa possiamo capire tre cose:
- l’amor patrio è un valore cristiano;
- combattere deve essere sempre una “extrema ratio” (rimedio estremo);
- bisogna lottare per la verità e non per il potere.

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"Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo". (Es 20,12) L'Apostolo insegna: Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. "Onora tuo padre e tua madre": è questo il primo comandamento associato a una promessa: "perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra" (Ef 6,1-3). Onora il padre e la madre Onorare il padre e la madre apre la seconda tavola della legge, quella che racchiude i comandamenti orientati alla carità verso il prossimo. Dio ci comanda l'amore verso chi ci ha generato, verso i genitori, mettendo quindi loro al primo posto nella lista dell'amore al prossimo, perché loro sono il prossimo più prossimo a noi. Sarebbe un'illusione voler bene alle persone lontane, dimenticandoci di quelle vicine. Come è possibile dividere il proprio pane con l'affamato, ospitare il misero senza ricovero, vedere un ignudo e vestirlo se poi il prop

Dio : Chi è Dio? Qual’ è il suo aspetto?

Chi è Dio… Possiamo conoscerlo. Noi possiamo conoscere Dio, che ha dato origine all’universo in tutta la sua grandezza e alle meraviglie della sua creazione. Egli ci parla di se stesso, ma va anche oltre sé stesso. Ci accoglie in una relazione con Lui, cosicché possiamo conoscerlo personalmente, intimamente, anziché accontentarci di avere solo una mera conoscenza “di” Lui. «Non si vanti il saggio della sua saggezza e non si vanti il forte della sua forza, non si vanti il ricco delle sue ricchezze. Ma chi vuol gloriarsi si vanti di questo, di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla terra; di queste cose mi compiaccio». Parola del Signore. (Geremia 9, 22-24) Chi è Dio… Possiamo accostarci a Lui. Dio ci invita a parlare con Lui e a farlo partecipare della nostra vita.Per farlo non occorre prima essere prima preparati, né occorre essere particolarmente istruiti o corretti teologicamente opp

Pensieri dei Santi : SANTITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA

L’uomo e la donna, che per il patto di amore coniugale «non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19, 6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la raggiungono. Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità. Cristo Signore ha effuso l’abbondanza delle sue benedizioni su questo amore multiforme, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e fedeltà, così ora il salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’

Pensieri dei Santi : " MOSTRIAMO A TUTTI IL NOSTRO AMORE PER DIO"

Riconosci l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del regno dei cieli, dell’onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un’immagine ardita, sei lo stesso Dio! Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e quell’armonia e ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra? Chi ti concede la pioggia, la fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell’arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato e, aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l’amici

PENSIERI DEI SANTI : La devozione è possibile in ogni vocazione e professione

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona. Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammis

Il Demonio

L'eclissi del senso cristiano della vita, procede di pari passo con il tramonto di quella ragione che con la fede innalzava lo spirito umano verso la contemplazione della verità. La Chiesa, di fronte a un neo paganesimo che avanza, è rimasta la sola a contrastare il ritorno di passioni irrazionali e del pensiero ateo che nega l'esistenza di Dio per relegare l'uomo nell'esistere per un determinato tempo per poi disperdersi nel nulla. Il demone mostro spietato Gli uomini, in questo tempo, affermano di non credere all'esistenza di Satana ma poi, senza saperlo, cadono nelle sue spire, ne divengono seguaci e diffondono il suo Spirito Malefico in tutti i settori della vita umana. Non si conosce come agisce, altrimenti staremmo più attenti nell'operare e più vigili nel pensare perché lui, che è molto abile, è capace di far comprendere il male come un bene necessario. Satana, il Ribelle, il Corruttore, il Maledetto, con la sua lingua serpentina, è