Secondo le diverse versioni del racconto, alcuni personaggi decisero di mettere in difficoltà Gesù chiedendogli se gli Ebrei dovessero o meno rifiutarsi di pagare le tasse agli occupanti Romani. Nel Vangelo secondo Luca si specifica che, evidentemente attendendosi che Gesù si sarebbe opposto al tributo, essi intendevano «consegnarlo all'autorità e al potere del governatore», che all'epoca era Ponzio Pilato e che era responsabile della raccolta dei tributi. I vangeli sinottici raccontano che gli interlocutori si rivolsero a Gesù lodandone l'integrità, l'imparzialità e l'amore per la verità, poi gli chiesero se fosse o meno giusto per gli Ebrei pagare le tasse richieste da Cesare. Gesù, dopo averli chiamati ipocriti, chiese loro di produrre una moneta buona per il pagamento e poi di chi fossero nome e raffigurazione su di essa; alla risposta che si trattava di Cesare, rispose «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è...
Lo schiavo senza misericordia
Dal vangelo di Matteo Capitolo 18, Versetti 21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?" E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello."
Esegesi della parabola
Gesù parla dell'importanza del perdono e della necessità di saper accogliere i fratelli e le sorelle, per aiutarli a riconciliarsi con la comunità (Mt 18,15-20). Dinanzi a queste parole di Gesù, Pietro chiede: "Quante volte devo perdonare il fratello che pecca contro di me? Fino a sette volte?" I rabbini insegnavano che si doveva perdonare tre volte (tre è simbolo di "santità e amore" verso Dio, per questo ogni preghiera nell'ebraismo viene spesso ripetuta tre volte) e Pietro, credendo di fare il generoso, propone di perdonare sette volte (sette è il numero che nell'ebraismo simboleggia il completamento nel rapporto con Dio, la perfezione).
Gesù gli risponde: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". L'espressione "settanta volte sette" è una chiara allusione alle parole di Lamech, che diceva: "Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gen 4,23-24). Gesù vuole invertire la spirale di violenza entrata nel mondo per la disobbedienza di Adamo ed Eva, per l'uccisione di Abele da parte di Caino e per la vendetta di Lamech: quando la violenza sfrenata invade la vita, tutto va male e la vita si disintegra.
L'esempio che utilizza per poter far capire questo concetto è molto acuto: "A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi […] Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti". In Oriente anche i governatori delle più vaste Provincie si chiamavano servi del re; si può quindi supporre che questo debitore fosse un grande funzionario dello Stato: poteva per esempio essere un satrapo che, a forza di soprusi, fosse riuscito a frodare il pubblico tesoro di una somma ingente; i diecimila talenti dell'epoca sarebbero infatti paragonabili a sei miliardi di euro di oggi, ma il debito di questo servo sta qui a rappresentare il debito con Dio, suo di allora e nostro di oggi.
Non avendo però costui l'ingente somma da restituire, il Padrone ordina che sia venduto lui, con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, in modo da saldare così il suo debito. Le antiche leggi d'Oriente permettevano al creditore di rendere o far schiavo il debitore insolvente, di confiscarne tutte le sostanze inclusi moglie e i figli. Ma quel servo, assalito dal panico e dal terrore del temibile futuro che gli si prospettava, si gettata a terra e supplica: "Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito"; Matteo, dopo aver riferito gli insegnamenti di Gesù su come aiutare le sorelle e i fratelli peccatori a riconciliarsi con la Legge, riporta ora come Gesù vuole che essi vengano accolti quando si dimostrano pentiti per ciò che hanno commesso.
Appena uscito dal colloquio col suo Padrone, quel servo però trova un altro servo come lui che gli doveva cento denari, una somma ben più esigua rispetto al suo debito, pari a circa dieci euro di oggi; nonostante ciò, pretende che gli sia restituito tutto il suo debito, non sente ragione, non si impietosisce di fronte alle suppliche del suo debitore, va a denunciarlo e lo fa gettare in carcere, fino a che non avrà pagato il debito. Quando il Padrone viene a sapere dell'accaduto, non può far altro che esclamare: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato.
Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?" Con questa domanda, pone l'accento sulla disumanità del servo e la giustizia della sentenza pronunziata contro il suo debitore: di fronte a tanta durezza di cuore, il Padrone è costretto a seguire i ragionamenti del suo servo, rinnegare il condono prima concessogli e darlo in mano agli aguzzini, finché non gli restituirà tutto il dovuto. "Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".
Con questa parabola, Gesù ci dimostra che non è troppo quello che Egli esige: Dio perdona agli uomini le infinite ingiurie contro di Lui commesse, Egli ha perciò il diritto di comandare agli uomini di perdonare le piccole ingiurie dagli altri ricevute, di perdonare "settanta volte sette", ossia un numero indefinito di volte. La carità cristiana deve essere sempre pronta a perdonare le ingiurie. Quante volte Dio ti ha elargito il Suo perdono attraverso la Sua misericordia! Non essere ingrato, usala verso il tuo fratello: se vuoi ottenere il perdono dei tuoi peccati da Dio, è necessario che perdoni al prossimo. Infatti l'unico limite alla gratuità del perdono di Dio, è la nostra incapacità di perdonare al nostro fratello! (Mt 18,34; 6,15).
Il modo di agire di Dio è dettato dall'amore, quello stesso amore che abbiamo visto espresso nella parabola della pecora smarrita, ma anche nella parabola del figliol prodigo: quel padre, sicuramente offeso, riaccoglie il figlio che torna pentito e fa subito preparare una gran festa per lui. Perdonare non è semplice e neanche banale, vendicarsi è invece istintivo e molto più immediato; ma il perdonare è necessario, per non continuare ad alimentare odio, rancori e altre inesorabili ingiustizie, è un sincero atto di amore, di quell'amore che può sconfiggere l'orgoglio umano, che non sente ragioni, che non si piega alla pietà, e che non rimane insensibile alle suppliche di perdono del fratello.
L'atto del perdono nei confronti dei fratelli e delle sorelle pentite è un prezioso lasciapassare per poter essere perdonati a nostra volta da Dio, per tutte quelle offese che, a volte anche inconsapevolmente, gli arrechiamo giorno dopo giorno e che al termine della nostra vita terrena ci impediranno di essere riaccolti tra le Sue braccia paterne. Mettiamo da parte l'orgoglio, ascoltiamo la voce del cuore, perdoniamo il giusto e avremo la certezza di ricevere a nostra volta il perdono del Padre!
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